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Il personaggio: Gregorio Ciancaglione un pastore ex pugile
di Vezio Romano
“Che ci faccio qui” è una nuova trasmissione in onda su Rai 3, condotta con passione e professionalità da Domenico Iannacone. Ha ottenuto un notevole indice di ascolto la puntata intitolata “Un pastore dentro la città” che ha avuto come protagonista l’ex pugile professionista Gregorio Ciancaglione, che è appunto uno degli ultimi pastori nella zona nord di Roma. Gregorio vive ai margini della Capitale con le sue pecore e il fedele cane maremmano Orso. La sua esistenza non è certo facile: dorme in una roulotte senza riscaldamento e con la finestra aperta per controllare il suo amato gregge, non ha corrente elettrica. Ma si sente comunque un uomo felice, libero di vivere all’aria aperta e di dedicarsi con passione alla pastorizia. L’altra grande passione di Gregorio è stata la boxe: quando ne parla gli si illuminano gli occhi. Ricorda quando, dopo il match con Nunziato Sanna nel 1977, Giuliano Orlando scrisse sul Corriere dello Sport “Il pastorello Ciancaglione conquista Milano”. Per Gregorio un incontro di pugilato è una cosa bella, significa mettere a confronto due intelligenze. E alla fine mostra la sua vecchia e consunta tessera da pugile. Io ho conosciuto Ciancaglione nel 1976, quando iniziai a praticare la boxe nella palestra della Società Pugilistica Salario che, grazie al maestro Guido Fiermonte, era qualcosa di unico nel panorama delle palestre di pugilato. Era frequentata da ragazzi dell’alta borghesia e addirittura della nobiltà, rappresentata soprattutto dal conte Roffredo Gaetani Lovatelli che svolgeva attività agonistica. Non mancavano personaggi dello spettacolo, fra i quali il grande attore Vittorio Mezzogiorno, molto appassionato e competente nell’ambito della boxe. Gregorio arrivava in palestra con una vecchia vespa, spesso con gli stivali infangati ma era stimato e benvoluto da tutti, perfettamente integrato nell’ambiente. Sempre disponibile, non si tirava mai indietro e nel ring si confrontava con atleti più pesanti di lui anche di venti chili. Nella sua carriera c’è stato un incontro particolare, quello contro Michele D’Amato a Roma nel 1979. D’Amato aveva disputato già quindici combattimenti fra il 1969 e il 1971 ma poi, per motivi di gelosia, si era reso colpevole di uxoricidio ed era detenuto nel carcere di Rebibbia. Grazie alla buona condotta aveva ottenuto il permesso di uscire ogni giorno per allenarsi e proseguire così la sua carriera. Per il suo rientro era stato scelto appunto Gregorio Ciancaglione. La storia del detenuto che tentava di redimersi attraverso la boxe piacque molto alla stampa che scrisse molto su D’Amato nei giorni precedenti il match. Gregorio dal canto suo si era preparato come sempre con scrupolo ed aveva avuto come sparring partner un bravo ex professionista, Mario Landolfi. La sera dell’incontro al Palazzetto dello Sport di Viale Tiziano il pubblico era numeroso ed era presente anche la più importante televisione privata di Roma. Quando i pugili salirono sul ring, tutti I giornalisti e le personalità erano sotto l’angolo di D’Amato mentre nessuno guardava Ciancaglione. Dopo il gong iniziale Gregorio iniziò subito ad attaccare ma D’Amato fu molto abile a difendersi e a replicare. Ma già dalla fine del secondo roud il ritmo incalzante di Gregorio metteva in evidente difficoltà il suo avversario. Nella sesta ed ultima ripresa D’Amato riusciva a stento a rimanere in piedi, aiutato anche dai frequenti interventi dell’arbitro. Al termine fu proclamato un incredibile verdetto di parità. Chiunque, al posto di Gregorio, avrebbe protestato ma lui rimase calmo e sereno. Scese dal ring e, rivolto a me e Landolfi, con accento tipico romano disse: “Me sa che pe’ vince dovevo ammazzà mi padre e mi madre.” Una serena ironia davvero unica, come il personaggio di Gregorio Ciancaglione.
Nella foto: bordo ring al Palazzetto dello Sport; da sin. Vezio Romano, Roffredo Gaetani Lovatelli, Gregorio Ciancaglione.
Foto di Ciancaglione attuale: da www.sussidiario.net